Qualche giorno fa ho scoperto che alcune donne si sono indignate per l’ultimo spot tv di Nuvenia.
La campagna si chiama Viva La Vulva (il claim è “Libera di osare”) e nel video di venti secondi ci sono oggetti e forme che richiamano, appunto, la vulva.
Una conchiglia, una pesca, un assorbente macchiato di sangue simulano i movimenti dell’organo genitale femminile e la fuoriuscita del flusso mestruale.
Immagini colorate e ironiche che mostrano ciò che succede ogni mese al corpo di una donna. La campagna nasce con l’intento di sfatare tabù e stereotipi estetici di perfezione, celebrando la femminilità in tutte le sue forme.
Intenti nobili, non vi pare?
Eppure ci sono donne che non vogliono sentire parlare di vulva. Donne che non vogliono vedere il sangue mestruale perché da anni abituate al liquido blu e la cosa le imbarazza. Donne che fanno appello al giurì della pubblicità perché temono che i bambini che guardano la tv possano restarne traumatizzati.
Donne (e uomini) che tirano in ballo l’emofobia e l’insostenibilità di vedere una striscia di sangue finto su un assorbente aperto.
Ecco quindi che una sfilza di commenti negativi si riversa sui canali social di Nuvenia, scatenando una crisi di comunicazione.
Come ha reagito il brand? Difendendo a spada tratta la propria campagna.
E ha fatto bene, aggiungo io!
I più noti case study sulla gestione della crisi di comunicazione ci hanno insegnato che l’utente (che poi è un potenziale cliente) ha sempre ragione.
Alle ondate di indignazione (la maggior parte delle volte, giustificate) si risponde chiedendo scusa e cospargendosi il capo di cenere. Quando lo scopo dell’utente invece è insultare senza argomentare è preferibile sorvolare, ignorare.
Nuvenia non indietreggia e sostiene con forza la propria campagna.
Non è supponenza o presunzione perché il messaggio è chiaro: aiutare le donne a sentirsi libere di essere sé stesse, parlare di mestruazioni e non di “cose”, non avere paura di conoscersi ed esplorarsi.
Quindi va bene accogliere le perplessità degli utenti, ma solo per restituire con forza il messaggio.
E se state pensando che il marketing non può essere educativo, vi sbagliate.